venerdì 1 novembre 2013

Alluminio dal cielo

Un po' di tempo fa uno studente di Mondovì, Andrea Bertolino, mi scrive, appassionato dalla mia ricerca sulla storia dell'aereo di Fontane, mi chiede se può romanzare detta vicenda per un tema che parteciperà ad un concorso. Vi riporto il suo lavoro facendogli i complimenti. Sono quelle piccole soddisfazioni della vita che ti rendono felice e forse ti fan pensare che qualcosa di giusto ogni tanto lo combini. Che bello essere riusciti ad appassionare un giovane ad una vicenda dimenticata negli anni della nostra terra. Grazie Andrea.



Località la Penna, maggio 2013

Il tempo è piuttosto grigio, dalla Francia sta risalendo un temporale che, minacciosamente, si affaccia dietro alle cime delle montagne, scendo attraverso il pascolo, sono circondato da case in pietra e muretti a secco ormai in rovina. Finalmente arrivo nel luogo che cercavo, ha un aspetto spettrale, accentuato dalla fine nebbia che sta calando, solo faggi e il letto di un torrente secco, ovunque uno strato di foglie marce attutisce i miei passi, dunque è qui che accade.
            
 Alluminio dal cielo
Bergamo, 11 settembre 1944

Mancavano circa quindici minuti alle 23, le luci della pista brillavano davanti agli occhi di Gottfried, il suono del motore si faceva meno convulso, stava prendendo potenza, si voltò verso Walter Jesko; il co-pilota. Stava controllando che tutti gli indicatori fossero al loro posto e, ogni tanto, buttava un occhio alle carte di volo. Più indietro nell'aereo Wehmeier, il radiofonista, stava comunicando con la torre di controllo per aspettare l'ok di volo, al fondo il sergente Scheingraber   aveva preso posto alla mitragliera di coda. Il clima non era teso, in fondo era una  semplice missione di ricognizione notturna, nessun bombardamento e nessun caccia nemico.
Heene sentì nelle cuffie la voce del radarista: il decollo era stato autorizzato, vide gli addetti che toglievano i fermi da sotto le ruote e, lentamente, spinse avanti la leva dell'acceleratore, dopo pochi attimi tirò a se la cloche, lo Junker JU 188 con le sue 14 tonnellate si staccò da terra.
Il cielo su Bergamo era sereno, ma non si vedevano quasi luci sulla terra, il coprifuoco imponeva il loro spegnimento dopo le 18 per evitare di facilitare il lavoro ai bombardieri alleati. L'oscurità esterna contrastava con la luminosità soffusa e colorata all'interno della carlinga creando uno spettacolo particolare che potava spesso Gottfried a pensare alla cose più disparate. Il pensiero più ricorrente era per la fidanzata Edel , aveva 22 anni e dei magnifici occhi chiari contornati da capelli mossi e scuri; non la vedeva da 8 mesi, ma il comandante di squadrone gli aveva promesso una licenza al più tardi a fine mese. Questa speranza gli faceva vedere la dura vita di caserma in modo un po' migliore.
Nel 1941 era partito per la Luftschule pieno di entusiasmo, ma la guerra lo aveva presto disgustato, i bombardamenti sulle città si rivelarono orribili. Vedendo la distruzione e i roghi, Gottfried  non poteva far a meno di pensare alle povere persone innocenti che vi si trovavano coinvolte, solo la morte del fratello Friedrich in Nord-Africa gli aveva dato la forza di continuare.
Erano passati circa 40 minuti dalla partenza, quando il motore di destra ebbe un sussulto, seguito da altri più decisi, la pressione dell'olio scese improvvisamente e Jesko lanciò un urlo :“ Scheiße! Il motore di destra è in fiamme!”. Heene valutò in fretta le ipotesi, non sapeva bene dove si trovassero, di notte un atterraggio di fortuna era impensabile, la sola cosa      
da fare era cercare di tornare a Bergamo; portò la cloche a destra ,ma, prima che potesse terminare la manovra il sistema elettrico smise di funzionare, il fuoco aveva bruciato i circuiti. Erano spacciati.
L'aereo si rimise in posizione orizzontale, i secondi diventarono ore per i 4 aviatori, fuori c'era la nebbia e non sapevano quando il tutto sarebbe finito,
un' ala colpì qualcosa, un urlo, poi tutto divenne oscuro.

Bepin si svegliò di colpo, sentendo quella gigantesca esplosione, dopo un attimo  per raccogliere le idee concluse che doveva trattarsi di un nuovo scontro tra partigiani e tedeschi. Il susseguirsi di altre esplosioni di minore intensità confermò la sua tesi, “Sarà dalle parti di Fontane, speriamo che non vengano fin qui”, pensò. Guardò dalla finestra ,ma la nebbia non gli faceva vedere nulla, allora tornò a letto, sforzandosi di dormire.
Alle 6 della mattina dopo, in casa Peano ci fu un vero tumulto, una cosa che Bepin non sentiva da quando lo zio Battista era partito per la Russia; suo padre gridava tutto eccitato di un aereo che si era schiantato ai piedi del gias, diceva; “I sun co' di mort, adesso verranno i tedeschi a portarseli via e magari ci daranno anche la colpa. Non poteva cadere da un'altra parte quel maledetto apparecchio?”.
Il ragazzo, sentite queste parole, non stava più nella pelle si infilò il suo maglione di lana e spalancò la porta, davanti a sè si alzava una gigantesca colonna di fumo e tutta la gente della borgata, ma anche molti abitanti di Seccata che avevano visto l'aereo cadere la notte precedente si erano recati sul luogo appena giunta l'alba. Bepin corse il più velocemente possibile:
non si capiva proprio che era un aereo, c'erano frammenti di alluminio e parti meccaniche ovunque, nel prato e nella vicina pietraia, l'erba era tutta bruciata  e l'acqua del piccolo torrente era torbida e oleosa, solo un'ala sembrava essersi salvata, da un cumulo di rottami spuntava integra anche se un po' storta una grande mitragliatrice. Proprio li vicino stava avendo luogo una triste scena: il parroco di Seccata, Don Benso, stava cospargendo con l'acqua santa quelli che una volta dovevano essere stati uomini, ma ora erano nulla più che una massa informe di carne bruciata. Alcune persone discutevano animatamente su quale fosse la cosa migliore da fare, chi diceva “Lasciamoli lì ci pensano i tedeschi” -Oppure- “Mettiamogli almeno un lenzuolo sopra”- O ancora -“Seppelliamoli qui dove li abbiamo trovati” Alla discussione pose fine il parroco che disse: “Sono anche loro figli di Dio e, come tali, li seppelliremo nel cimitero di Seccata, se verranno i tedeschi gli indicheremo le loro tombe, sono sicuro che non si risentiranno del fatto che abbiamo dato degna sepoltura ai loro camerati.” Così furono caricati su un carro e cristianamente sepolti.
Nei giorni successivi non si videro né tedeschi né partigiani, così gli abitanti della Penna si fecero meno timidi nei confronti dei rottami, il padre di Bepin prese un bel “pezzo di aereo” e lo inchiodò al tetto del fienile, rendendolo così impermeabile per le prossime nevicate. Poi prese alcuni frammenti più piccoli e spessi, lavorandoli con il martello, ne fece una bella pentola da minestra e alcuni cucchiai; allo stesso modo fecero molti loro vicini di casa. Ma la vera rivelazione sul come sfruttare quei rottami arrivò quando la madre di Bepin andò a trovare la sua amica Luisa a Fontane. Quest'ultima le parlò di un certo ambulante di Beinette che per  ogni kg di metallo che gli portavano, pagava addirittura 5 lire. Cominciò quindi la processione per la raccolta e la vendita dei rottami, l'ala fu fatta a pezzi a colpi d'ascia e, allo stesso modo, ogni frammento più grande. Tutte le settimane, quando l'ambulante arrivava a Fontane, Bepin e gli altri ragazzi della borgata caricavano i rottami su un carro e li portavano a valle. Nessuno venne mai in cerca dei quell'alluminio caduto dal cielo e così, durante il periodo più duro della guerra, la sfortuna di quattro aviatori tedeschi fece la fortuna di un'intera borgata.

I fatti presentati in questo racconto, seppur romanzati accaddero veramente, i nomi e i cognomi degli aviatori tedeschi sono quelli effettivi, mentre tutti gli altri personaggi sono inventati anche se basati sul racconto dei testimoni.

Nello schianto perirono:
Gottfried Heene, sottotenente , 24 anni
Walter Jesko, ufficiale , 23 anni
Ernest Wehemeier, ufficiale, 20 anni

Helmut Scheingraber, sergente, 21 anni

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